Una nuova intervista ad Elena Brescacin: accessibilità della rete, app mobile e Internet of Things per un mondo migliore.
Era il 2009 quando decisi di condividere una delle interviste più interessanti mai pubblicate su questo sito: una bella chiacchierata con Elena Brescacin, sviluppatrice web non vedente che lasciò una testimonianza preziosa sull’accessibilità della rete e sulla sua esperienza con il mondo web.
Dopo diversi anni è giunto il momento di parlare di nuovo con Elena, che nel frattempo è cresciuta professionalmente e mi ha offerto molti nuovi spunti di discussione.
Si parla non solo di sviluppo web, ma di nuovi ambiti dove l’accessibilità è fondamentale: applicazioni mobile e internet of things.
Intervista ad Elena Brescacin
Ciao Elena, sono passati più di 7 anni dalla nostra prima intervista, puoi raccontare brevemente chi sei e cosa è successo di nuovo nella tua vita professionale in questi anni?
Come è evoluta la tecnologia, è evoluta anche la mia professione. Se nel 2008 lavoravo quasi solo con HTML scritto manualmente, adesso per fortuna la situazione è cambiata.
Per gestire i contenuti web mi avvalgo anch’io di Content Management System, preferibilmente Drupal, che allo stato attuale (2016) risulta quello più attento all’accessibilità lato back-end, perché il front-end dipende tutto dai temi; come qualsiasi CMS basato su template, l’accessibilità del sito web dipenderà da quanta attenzione chi sviluppa il template avrà nei confronti delle linee guida per l’accessibilità.
Ciò che è importante in questo caso è che tramite una struttura basata su Drupal, anche una persona con disabilità visiva come me può tranquillamente gestire il pannello di amministrazione del CMS in tutte le sue forme.
Ma il web non è più la parte integrante del mio lavoro; con l’avvento di smartphone, tablet e dispositivi indossabili, l’obiettivo si è
spostato anche verso altri orizzonti.
Ora mi occupo non solo di test sull’accessibilità del web, ma anche di quello che riguarda applicazioni mobile, test di hardware e software mainstream, ovviamente indirizzandomi verso l’accessibilità e usabilità per persone disabili e non.
Come è cambiato il tuo modo di utilizzare la rete e la tecnologia in questi anni? Trovi ancora gli stessi problemi di 7 anni fa parlando di accessibilità?
La rete è evoluta, così come il mio lavoro e svago.
All’epoca della mia prima intervista avevo pochissima tecnologia, mi limitavo a un uso di computer Windows e un telefonino con funzioni abbastanza limitate. Ora ci sono blog, siti web, social network ma soprattutto app mobile e accessori interfacciabili con smartphone e tablet che facilitano molto la vita.
Se prima la tecnologia era passiva, adesso è assolutamente interattiva; grazie ai social network è possibile interfacciarsi più o
meno direttamente con chi produce hardware e software, e almeno nelle intenzioni l’accessibilità sembra non essere più un argomento di nicchia, infatti molte aziende di elettronica di consumo — Apple molto più di altri — stanno cercando di rendere i propri sistemi operativi e dispositivi fissi o mobili più accessibili possibili.
Il problema grande è che in molti casi rimangono solo intenzioni: per esempio la troppa frammentazione di sistemi a sorgente aperto, come Linux e come Android su smartphone, impedisce di creare un vero e proprio standard, per cui soprattutto per chi non vede, che per interfacciarsi con la macchina ha bisogno di specifici accorgimenti, risulta più difficile.
A differenza di 8 anni fa, le linee guida sull’accessibilità per il web sono state aggiornate, aggiungendo anche delle specifiche nuove, le ARIA, specificamente studiate per tutte quelle applicazioni web con funzioni avanzate (Rich Internet Application), ma occorre una massiccia sensibilizzazione sull’argomento.
Per quanto in modo più o meno marcato i grandi produttori di tecnologia di consumo cerchino di muovere un passo avanti verso l’accessibilità, se lo sviluppatore — specie nelle app mobile — non conosce le regole che ogni piattaforma adotta per rendere le proprie app accessibili, il cosiddetto “design for all”, progettazione universale, è solo un discorso fatto a vuoto.
In teoria le cose potrebbero cambiare: su piattaforma Apple le linee guida sull’accessibilità delle app sono incluse nelle
documentazioni per sviluppatori e senza costi aggiuntivi rispetto al normale protocollo developer; sviluppando usando gli standard della piattaforma si riesce a costruire progetti accessibili. Ma se non vengono usati framework standard siamo agli stessi livelli di 8 anni fa.
Per cui, sì, le tecnologie ci sono, ma lato sensibilizzazione va fatto ancora molto lavoro.
Che strumenti utilizzi in ambito professionale? Hai delle preferenze sui software?
Come già detto, utilizzo dei CMS — specialmente Drupal — per il lavoro su web, mentre gli strumenti TestFlight e TestFairy per testare le applicazioni, più i vari editor testuali per tradurre, quando il mio compito è quello di fare traduzioni inglese-italiano o viceversa, perché molte volte trovo dei progetti interessanti che sono solo in inglese e mi offro per portarli in italiano.
Apple è per il momento la piattaforma che lato utente ha la maggiore attenzione verso l’accessibilità.
Per una persona che non vede, avere in mano una macchina Apple significa essere autonomo già dalla prima accensione.
Per questo collaboro con altre 5 persone ipo e non vedenti, a un progetto chiamato www.nvapple.it che si occupa di divulgazione dell’accessibilità a tutto tondo e dell’utilità che questi dispositivi hanno per chi non vede.
Sono particolarmente interessato al mondo IoT: che possibilità ci sono oggi per un non vedente, rispetto a qualche anno fa?
Internet delle cose. E’ una realtà che spaventa molti, soprattutto chi non è molto amante della tecnologia; ma in realtà, l’IoT potrebbe essere la chiave di volta definitiva per rendere accessibile ogni ambito della vita quotidiana: dalla salute, alla gestione della casa e dell’ufficio.
Il condizionale è d’obbligo, perché questo è un fenomeno in espansione e che non ha ancora avuto il suo momento più forte, ma l’abbattimento delle barriere percettive potrebbe davvero essere finito.
Un elettrodomestico o apparecchio medicale moderno infatti attualmente è per il 90% provvisto di display, con pulsanti o controlli touch, per cui uno che non vede è costretto per forza di cose a farsi spiegare, oppure ad adottare dispositivi parlanti, che molte volte costano anche molto di più rispetto a quelli mainstream, proprio perché “di nicchia”.
L’IoT abbatte la barriera fin dalla base, qualora le funzioni attribuite al display siano gestibili tramite smartphone.
Per questo è importante mettere più sviluppatori possibili a conoscenza delle regole di accessibilità presenti nelle piattaforme mobile, così che possano realizzare delle applicazioni accessibili già dalla base: nel momento in cui il mio smartphone già parla, io non ho alcun bisogno di usufruire di altri dispositivi parlanti.
Al momento possiedo una bilancia, un misura pressione, un anello indossabile per gestire l’attività fisica, e a momenti mi dovrebbe
arrivare uno scalda/raffredda bevande. Molti pensano che i dispositivi medici basati su smartphone siano inutili (ad esempio per “condividere la misura della febbre via social”), ma queste persone non conoscono le potenzialità di uno strumento del quale la
condivisione sui social potrebbe anche non esistere, ma che per chi non vede, fa molto di più.
I dati sulla salute possono essere inviati direttamente al medico di base per esempio, senza aver bisogno di foglietti e appunti.
Spero che l’evoluzione continui.
Quali sono i problemi principali con cui ti scontri navigando su internet? I captcha sono ancora al primo posto?
Purtroppo sì. I captcha sono ancora all’ordine del giorno, poche sono le realtà che usano i captcha audio; ultimamente mi è capitato di dover resettare la password sul sito Amazon Italia. C’era il captcha senza audio. Provo a contattarli per dirglielo e… anche lì, captcha senza audio.
Perché devo esser costretta a telefonare quando gli altri possono fare tutto online?
Esistono una estensione Firefox, Webvisum, e una per Safari, Rumola, che potrebbero leggere i captcha, ma il loro funzionamento non è sempre garantito. Potrebbero funzionare un mese, un anno, poi aggiornano il browser, le estensioni non si aggiornano perché non sono certificate… e si perde la funzionalità.
L’unica è l’eventualità di usare servizi di volontariato a distanza, come BeMyEyes o BeSpecular, ma anche là significa coinvolgere terze persone per farsi aiutare a risolvere un problema che dovrebbe essere risolto da chi sviluppa i siti.
Oltre ai captcha si sono aggiunte molte applicazioni cosiddette “ricche”, provviste di elementi trascinabili tramite drag & drop o
similari, che non fanno uso delle specifiche ARIA (Accessible Rich Internet Applications) rendendo impossibile la fruizione di interi
servizi.
In passato avevi criticato i siti di news di essere poco accessibili: esiste ancora questo problema?
Ci sono alcuni siti di notizie che sono leggibili, ma con l’avvento degli abbonamenti digitali usufruire di informazioni on line e di
qualità non è sempre facile, per uno che non vede.
Primo, perché la pubblicità è aumentata in modo esponenziale, e non sempre installare un adblocker risolve il problema. Gli ad blocker per una persona che non vede sono una manna dal cielo, dato che i servizi di pubblicità on line dell’accessibilità non si curano proprio, ma usare un ad blocker può risultare scorretto nei confronti del sito che pubblica notizie.
Secondo, perché spesso e volentieri nella fruizione della parte gratuita nei siti delle testate giornalistiche aumenta il fenomeno
del clickbaiting, ovvero attirare gli utenti con dei titoli ad effetto sotto i quali però ci sono delle notizie di qualità discutibile.
Per quanto riguarda gli abbonamenti digitali non avrei nessun problema a pagare per una testata giornalistica, peccato però che non ci siano giornali accessibili a pagamento!
Molte associazioni di ciechi hanno stipulato degli accordi con alcune testate per poter avere i contenuti on line gratuitamente e
facilmente, ma affidarsi a un’associazione per potersi informare significa non essere liberi. Significa poter leggere solo quello che
l’associazione vuole che io legga, solo quello con cui ha stretto accordi. E il resto? Non chiederei la gratuità, chiederei di pagare
come tutti ma con le dovute garanzie di un servizio fruibile.
In conclusione, vuoi aggiungere qualcosa?
In questi anni ho avuto modo di crescere, insieme alla rete internet.
Ho anche dovuto fare i conti con la realtà dell’internet addiction, una situazione di abuso delle chat, in un momento particolarmente fragile che mi stava portando fuori strada. Per fortuna grazie alla vicinanza di familiari e amici ho avuto modo di rimettermi in piedi, e di ridare alla rete il valore che ha.
A chi ha paura delle nuove tecnologie, soprattutto quelle mobili e indossabili, dico che si ha paura di quello che non si conosce, o che comunque si subisce.
Non è lo smartphone o il tablet che causa la dipendenza, ma l’approccio mentale che noi abbiamo verso le macchine.
La tecnologia mi ha restituito una gran percentuale di autonomia personale che non avrei mai pensato di raggiungere, per esempio poter sfruttare la fotocamera dello smartphone tramite intelligenza artificiale (applicazione TapTapSee) oppure tramite videoconferenza (BeMyEyes) oppure facendo vedere delle foto a delle persone vedenti a distanza (BeSpecular), oltre all’accesso a
tanti servizi professionali e di svago che prima potevo solo immaginare.
Per non parlare di domotica e IoT, un futuro che si prospetta interessante ma di cui attualmente sto godendo solo una piccola parte.
La rete ha abbattuto le distanze: adesso lavoro con colleghi in tutta Italia, oltre a far parte della redazione del portale www.nvapple.it
gestito insieme ad altre cinque persone sparse per l’Italia, con le quali si comunica via social, mail, whatsapp, includendo il progetto della web radio NvRadio, nella quale mettiamo musica e svolgiamo eventi in diretta, senza bisogno di studio di registrazione.
Internet è uno strumento che se saputo usare può davvero rendere il mondo migliore e la disabilità solo un piccolo dettaglio.
In conclusione
Grazie a Elena, che ancora una volta ha contribuito a lasciare una testimonianza preziosa della sua esperienza, condividendo le sue conoscenze e buona parte di quello che ha vissuto sulla propria pelle in questi anni.
Tengo particolarmente a chiudere questa intervista con un video di un suo intervento al TEDxAssisi: Share to fight prejudice.
Buona visione.